L’ho visto, l’ ho comprato. Ho pensato: lo cucino come lo avrebbe cucinato mio padre.
Vivo: tutti i crostacei devono esserlo.
Dovevo assaggiarlo. Tutti ne parlano, bene e male. Dal momento che è una specie aliena dalle nostre parti, essendo orinario delle coste Americane e che è pure un predatore invasivo e per ora inestirpabile – mangia tutto praticamente, mettendo a rischio aziende ittiche di vario tipo -, sembra che la cosa migliore da fare sia cibarsene.
Non so quanto questa soluzione sia efficace: dovremmo mangiarlo tutti i giorni e non sarebbe sufficiente a debellarlo.
Avevo due granchi medio-piccoli, per cui non valeva la pena aprirlo e scavare tra le cartilagini per raccoglierne la poca polpa. Li ho quindi tagliati a pezzi, avendo cura di spezzare le chele e le zampe più grosse per facilitare l’estrazione della carne una volta cotti.
Olio extra vergine di oliva, aglio e prezzemolo tritato, qualche goccia di vino bianco, un coperchio e la cottura è partita con tutti gli ingredienti a crudo.
In questo modo si è cotto in maniera delicata senza prendere il sapore forte di olio cotto. Pochi minuti e quando ha cambiato colore ( eh, sì, diventa rosso anche lui), ho aggiungo il pomodoro. Ho rimesso il coperchio e cotto per pochi altri minuti.
Intanto la pasta era già in cottura: corta, per non ammattire più de necessario, visto che già il granchio è una bella impresa.
C’è voluta una buona mezz’ora per passare da “così a così”, nonché l’aiuto di alcuni piccoli utensili.
Il sapore? delicato.
Mio padre avrebbe usato pannocchie ( spernocchie canocchie: hanno mille nomi. Voi come le chiamate?) oppure scampi o una grande granceola, che dalle mie parti si chiama “margherita”. Tutti crostaci dal sapore ben più deciso del granchio blu, ma, se si deve salvare il pianeta dai granchi…
A invogliare, oltre la curiosità, è anche il loro costo: una media di 8 euro al chilo.
Provate!
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